La mendicante di vita

15,50

AUTORE: Anna D’Auria
TITOLO: La mendicante di vita
ANNO: ©2023 DI CARLO EDIZIONI
ISBN-13: 979-1281201330

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Descrizione

Prefazione
“Sembrava ancora una bambina, gli occhi scuri, intensi e raggianti di vita, la voce nitida, divina di un usignolo che rischiara, col canto dell’anima, le fosche tenebre dell’esistenza, tinteggiata di affanni”.
Non avrei potuto mai immaginare, ex ante, un esordio più descrittivo per anticipare l’incontro ancestrale tra due donne, tra due destini geograficamente così distanti l’uno dall’altro e al contempo così predestinati e vicini: quello di Germana, una fotoreporter italiana d’assalto, alla ricerca epicurea di una “cura”… di un φάρμακον (pharmakon) attraverso cui riempire il vuoto esistenziale lasciato dalla prematura scomparsa della figlia non ancora concepita, a causa del terremoto in Irpinia, e Kamala, una giovane indiana vittima di abusi, oppressa dalle tradizioni della sua terra, l’India appunto, e del suo tempo che “… per un pugno di riso avrebbe anche venduto tutto, ma non aveva altro che se stessa”.
“No country for women – Non è un paese per donne”, mi verrebbe da dire! Ma questa è l’India, uno dei luoghi più pericolosi al mondo per il “gentil sesso”, ove un importante strato della popolazione femminile continua tutt’oggi a vivere in condizione di discriminazione e di palese inferiorità rispetto agli uomini.
Proprio con questa importante tematica si innesca il volano del romanzo, di cui sono orgoglioso e onorato di offrire a corredo la mia prefazione, e che, fin da subito, pare indossare le vesti del potenziale best-seller.
Mi hanno stregato i flashbacks azzeccati e indispensabili alla comprensione della globalità narrativa, in cui l’ordine degli avvenimenti viene magistralmente interrotto ogni qual volta “necesse sit” lasciare spazio alla rievocazione di accadimenti precedenti e al loro indispensabile contenuto chiarificatore. È stato bello lasciarsi ammaliare dai dialoghi sapientemente cesellati, dall’ostinata ma utile ricerca della “giusta parola” che sempre adorna, con stile ed eleganza, l’inchiostro pregevole.
Quest’ultimo, defluente lungo tutte le pagine, è simile a una colata magmatica, che dal cratere lenta scende a valle, così fascinosa da ipnotizzare, con la mutevole dinamica trasformazione dei suoi colori, anche l’attenzione degli osservatori meno sensibili e profani.
Ad Anna D’Auria va anche il meritatissimo plauso di essere stata capace, alla stregua di autori più noti e blasonati, di mantenere ben cristallizzato uno dei focus più importanti che contraddistingue qualunque romanzo di successo, ovvero quello intimamente collegato alla profonda indagine della psicologia dei personaggi. Pertanto ritengo, consapevolmente, di fare cosa gradita, giusta e dovuta nel parlarvi, senza spoilers eccessivi, di una lettura che sono certo che vi prenderà, proprio come lo spettacolo pirotecnico naturale della lava appena accennato, dalla prima all’ultima parola.
A mio avviso in “La mendicante di vita. Kamala, l’usignolo dagli occhi dell’anima”, sono presenti tutti gli elementi che delineano minutamente quella che mi piace descrivere come “l’anatomia di un dramma personale e sociale”, per intenderci, uno di quelli che, pur condizionando la vita della persona che ne sopporta il gravoso giogo, al contempo, rappresenta la proiezione dinamica della sua estensione drammatica e comune alla maggioranza delle donne presenti in questa particolare realtà. Siamo al cospetto di una lettura oltremodo interessante che, fin da subito, si preannuncia vincente e avvincente. L’autrice, da sempre impegnata su questo tema, ben utilizza come presupposto prodromico lo studio attento delle piaghe sociali endemicamente più diffuse come lo spettro della povertà, causa della maggior parte dei problemi che affliggono questo paese, già martoriato da altre sventure, e motivo cardine anche delle innumerevoli e, purtroppo, impunite discriminazioni subite dalle donne indiane.
Anna D’Auria, scrittrice forgiata dagli studi classici, e autrice di manoscritti socio-culturali impegnati (mi riferisco alle sue precedenti pubblicazioni, vedi: ‘’La rosa bianca di Izmir’’, ‘’Skià’’, ‘’Mala Jin. Tulipani nel cemento’’ etc…), e ottima insegnante di latino e greco, con un’attenta e dettagliata ricostruzione romanzata dello spaccato sociale e della vicenda personale di una “giovane eroina”, da un lato, mette in risalto le miserrime condizioni di vita e la denuncia sociale di una giovane donna indiana che, come tante altre, come scrive l’autrice, è considerata “un vaso da riempire, da fecondare di mano in mano, perché questa è la donna: un passaggio da un uomo all’altro della casta”, e offre il suo prezioso contributo sociale e letterario, volto a diffondere e a far conoscere le urla invisibili e inascoltate di chi, vivendo ai margini della società da sempre, appare irrimediabilmente destinato a restare incolpevole vittima del “sistema”.
Innumerevoli e, altrettanto utili, sono i passaggi narrativi che descrivono questo aspetto; uno dei tanti che in particolare modo mi ha colpito, è quello in cui la nonna della giovane ragazza, in un passo importante della narrativa, rivolgendosi alla nipote, le dice:
“Siamo donne invisibili, tre volte ricattabili perché povere, analfabete e donne’’.
Kamala è “l’usignolo dagli occhi dell’anima”, e il suo cinguettio, al lettore attento, critico e consapevole, non può e non deve sfuggire: vi assicuro che riuscirete a sentirlo anche voi.
Appare inutile evidenziare quanto, anche quest’ultimo elemento, rafforzi l’urlo silente di una ragazza che vive e vede la condizione femminile indiana sempre più simile a:
“… quell’angolo di cielo mai solcato dal sole. La povertà ci discrimina, ci prostituisce, ci condanna a uno sfruttamento vergognoso, esponendoci a malattie e marchiandoci di uno stigma sociale che graverà per sempre su di noi”.
Siamo di fronte a un libro di forte denuncia, adornato da uno scrivere gradevolissimo e impreziosito da una linguistica ricercata, mai forzata e casuale.
Il registro narrativo dell’autrice non è interrotto dalla presenza delle diverse poesie e riflessioni che, spesso, ne separano o, forse sarebbe meglio dire, ne anticipano i capitoli. Al contrario, quest’ultime, ben enfatizzano e rafforzano la psicologia della narrazione e, con essa, la costruzione in divenire della personalità delle due attrici principali. “La mendicante di vita’’ segna il punto di svolta nella carriera artistica di Anna D’Auria, personalmente mi auguro che il suo talento, la sua cultura e la sua attenzione verso i temi sociali più importanti, le possano permettere celere ascesa nel mondo dell’editoria contemporanea e, soprattutto, che, molto presto, questo romanzo diventi fonte d’ispirazione per una produzione cinematografica. Non è mai cosa semplice raccontare “gli scomodi orrori” con un romanzo che non abbia le caratteristiche di un libro-dossier, pertanto le mie più sincere congratulazioni vanno all’autrice che è riuscita nell’intento di cambiare la sorte scontata di Kamala, la quale, per Germana, pare essere il filtro spirituale del karma della figlia perduta e così anche il suo lieto fine. Di fatto, in India, le discriminazioni di genere e di casta, in realtà, non sono state e forse non saranno mai abolite, perché intimamente integrate con le radici profonde e millenarie della tradizione di un popolo.
Complimentandomi con l’autrice, raccomando a tutti, con raziocinante enfasi, questa nuova proposta narrativa di cui sono fermamente convinto sentiremo parlare “ad libitum” molto presto.
Antonello Di Carlo

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